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penna.gif STORIA DI UN SEMPLICE GENIERE ALPINO che non ha fatto nulla,
di Giuliano Castellani 3°/68.


Il 5 ottobre 1968 – con in mano una cartolina rosa mi presentai alla Caserma Battisti di Cuneo. Un enorme fabbricato con un cortile quadro dove si affacciavano tre caserme e un enorme fabbricato adibito a servizi (mense, magazzini ecc.). Mi assegnarono al battaglione artiglieria da montagna. Il primo periodo trascorse nella normalità che mi ero immaginato: sveglia, adunata alza bandiera, colazione, addestramento con continui dest riga….avanti marc..tutta la mattina. Poi rancio e il pomeriggio stessa solfa, poi rancio e qualche libera uscita per ammazzare il tempo nelle strette vie di Cuneo. I cuneesi ci vedevano bene, eravamo una risorsa economica per la città e anche se i soldi erano pochi, qualche panino, un bicchiere di barbera, un caffè, un pacchetto di sigarette ci stava sempre.
In novembre ci fu un mezzo ammutinamento: venne servito al rancio pollo con larve di mosca (probabilmente era stata acquistato una partita di polli a buon mercato, ma purtroppo erano marci). Per 2 giorni l’intera caserma rifiutò il rancio, un gran casino con minacce di denuncia per ammutinamento. Poi alla fine tutto ebbe fine con l’istituzione di una commissione rancio e un discreto miglioramento della qualità del cibo.
La vita di caserma ritornò alla normalità, marcia, esercitazione greto fiume Gesso e Stura, il tutto per arrivare alla cerimonia del giuramento nei primi giorni di dicembre. Per molti fu una festa, con visita dei famigliari, parenti e amici. Per me fu un giorno semi-triste, che passai da solo in camerata.
Alle prime ore dell’8 dicembre, ci caricarono in una tradotta con destinazione Bressanone. Arrivai verso le dieci di sera alla stazione di Brixen, dove alcuni assatanati ci fecero salire su un camion e, dopo un breve tragitto, entrammo nel cortile di quella che per un anno sarebbe stata la nostra casa.
All’arrivo in caserma l’accoglienza non fu molto diversa, una ventina di “filtri” – ugualmente assatanati - che sbavavano per l’arrivo dei “nipoti”, ci assalì con urla e improperi, avvertimenti del tipo “..ora saranno cazzi vostri..” continui avanti indietro per la scalinata che conduceva alle camerate. Il tutto per una mezz’ora finché, l’ufficiale di giornata (credo fosse il serg. Magg. Rebecchini ) non pose fine alla sceneggiata, mandando tutti in branda.
Il mattino successivo, dopo l’adunata, ci fu partecipato il nostro incarico: la compagnia aveva una grande necessità di autisti e fummo - quasi tutti – destinati al corso autisti di Varna. La sera, in camerata, fummo assegnati a un “nonno”, e ci vennero impartiti i compiti: fare la branda, lucidare gli scarponi, tenere pulita l’arma in dotazione, in parole povere “fare il nipote”. Feci presente da subito che non avrei fatto nulla di tutto ciò e per quanto mi riguardava, il mio “nonno” avrebbe dormito sul pavimento. Urla e minacce si sprecarono, ma non cambiarono la mia decisione di non sottostare al nepotismo. Ero chiaramente un “nipote minaccioso”.
La rappresaglia non tardò ad arrivare: mi ritrovai un giorno di guardia e il giorno dopo di servizio in cucina: questo per 40 giorni di seguito. Naturalmente il turno di guardia era il più pesante: 4 ore di seguito (e non 2) dalle 24 alle 4 del mattino. Il turno di cucina era meno pesante (allora il comandante era il Cap. Pagano e si usavano i piatti) e nonostante si rincarasse la dose facendoci lavare il pavimento con la soda (semplici saponette sbriciolate), si riusciva – verso le 20-20,30 ad andare in libera uscita. Più avanti – quando arrivo il cap. Manco – si ritornò ai vassoi di acciaio e il servizio divenne molto più pesante, ma tutto questo non mi fece recedere dal mio proposito.
Arrivò per la compagnia il momento di partire per il campo invernale; chiesi di poter partecipare; mi fu negato perché dovevo finire il corso autista. Piu tardi chiesi di partecipare al corso sci e al corso roccia presso la scuola alpina di Corvara; uguale risposta: “non puoi, … sei conducente automezzi”
Al termine del corso autisti pensai: “.. finalmente, con l’assegnazione di un mezzo, avrò la possibilità di uscire dalla caserma, vedere un po’ di montagne… girare per l’Alto Adige …”. Purtroppo la mia speranza svanì presto. Il geniere che prestava servizio all’ufficio auto era prossimo al congedo ed era necessario affiancare un “nipote” che imparasse le cose da fare. Dopo il fallimento di alcuni volontari, rilevarono dalla mia scheda che da civile facevo l’impiegato amministrativo. Detto, fatto! Fui assegnato immediatamente, con mio rammarico, all’ufficio auto sotto la direzione del serg.magg. Grasso.
Quando fui arruolato, mi ero ripromesso che dovendo perdere 15 mesi di vita, tanto valeva cercare di fare qualche cosa di diverso, vivere la naja come un lungo periodo di “boy-scout. Invece furono mesi di noia e insulsa routine…. Tutto il giorno a compilare fogli di marcia, registri di carico e scarico materiali per l’officina e carburanti; l’unico vantaggio era – al contrario dei miei commilitoni - di non conoscere la fatica, di godere di un certo prestigio (quello dell’imboscato mio malgrado) e di andare in missione a Brescia (alla fabbrica dell’O.M.) per acquistare pezzi di ricambio per i CP e il CM. Era l’occasione, passando per Verona, di fermarsi 2 giorni a casa. Ciò avveniva mediamente una volta al mese.
Tutto questo durò fino alla fine di agosto, quando un giorno “strano” mi misero in mano la licenza ordinaria e mi ordinarono di partire con il primo treno.
Quando tornai dall’ordinaria (un po’ più lunga del previsto), il serg.magg. Grasso mi disse “… hai sempre chiesto di aver assegnato un mezzo…. Bene da oggi ti è assegnata la campagnola e sei a disposizione esclusiva del comandante..”. Dentro di me feci salti di gioia…., finalmente uscivo da quella prigione dorata (per me) che era la caserma. Pia illusione. Se si esclude una giornata di ricognizione (con il Serg. Perez, uno s.ten di complemento e un geniere) da Pederù a San Cassiano via Fanes, solo Vodice-stazione f.s., Vodice-comando brigata, Vodice-macelleria per oltre 100 giorni.
I primi giorni di dicembre incomincio a crescere l’adrenalina. Si vociferava che a giorni sarebbero arrivati i congedi – con anticipo come per i contingenti precedenti (forse già allora si parlava di spending review) Ma il 12 dicembre a Milano una bomba esplodeva alla Banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana – 17 morti e tanti misteri. In caserma vi era una tensione che si poteva tagliare con la baionetta. Poi piano piano il clima divenne un po’ più sereno e il 30 dicembre finalmente arrivò il tanto agognato congedo.
Questo è il racconto di un banale e noioso periodo della vita passato al servizio della Patria.

Evidentemente nella organizzazione di un gruppo – sia esso civile che militare – sono necessarie figure da retrovia, che mentre altri in prima linea fanno le cose importanti e che si vedono, loro contano i lacci per scarpe, i bulloni, le razioni K o altre cose che comunque sono indispensabili per il buon funzionamento della macchina. Cristo, proprio a me doveva capitare.. che volevo dare un senso a quei 15 mesi…., fare qualcosa di diverso, imparare qualche cosa nuova, andare per monti, anche se questo significava fatica e sudore.
Per questo, del periodo di naja, oggi, ho ricordi bellissimi e un po’ di ciarpame.
Ricordo l’amicizia che mi legò con alcuni commilitoni, in particolare GianPietro Testa, Gianni Pomini, Cortopassi, il geniere che faceva il fabbro – originario della Garfagnana, che chiamavamo “orso” e del quale non ricordo il nome, e altri dei quali oggi ho solo vaghi ricordi e che spero di risvegliare il prossimo 20 settembre a S.Giovanni Lupatoto
. Ricordo cose che oggi, mi fanno sorridere, come quella volta che di guardia, alla postazione vicino alla falegnameria, l’ispezione mi capitò dentro la garrita: mi svegliai di soprasalto gridando “altolà”. L’ufficiale (o sottoufficiale) rispose “altolà un c…. e vediamo di stare svegli”. Mi aspettavo una punizione, ma alla fine del servizio nessun rapporto.
Ricordo anche la velata ostilità degli altoatesini nei nostri confronti che nei bar, nelle trattorie ci servivano sempre per ultimi e con la “puzza sotto il naso”, ricordo che una volta – durante l’estate – mentre ero di guardia nella postazione su Via Dante (dietro l’officina) una coppietta guardandomi esclamò “senti che puzza di cavolo marcio”. Caricai il colpo in canna… questi affrettarono il passo e svoltarono velocemente in una via laterale. A fine turno, quando scaricai l’arma, l’ufficiale di giornata (credo il serg.m. Lesina) si accorse che avevo messo il colpo in canna, ma fece finta di nulla.

Furono 15 mesi passati pigramente e noiosamente, a compilare carte ed aspettare la lettera della morosa, a conta i giorni che passavano, a compilare la “stecca”. Oggi posso afferma che comunque tutto ciò è servito. E’ servito per rafforzare il mio carattere, è servito a perseverare nell’affermazione delle proprie idee (come il rifiuto assoluto del nonnismo e della prevaricazione dei più deboli) nel riconoscere l’autorità e le gerarchie, anche se queste a volte fanno cose non propriamente corrette, o che non si comprendono, le regole che ci sono vanno comunque osservate…. Se non le condividiamo dobbiamo profondere il massimo impegno e tutte le nostre capacità per cambiare quello che non si ritiene giusto.

Questo è il racconto di un breve periodo della vita di un giovane sessantottino pieno di speranze per un mondo migliore, passato tra Cuneo e Bressanone nel lontano 1969 che era coperto di oblio e che ora nella terza età riaffiora dalla polvere del tempo.



Ex Geniere 3°/68
Giuliano Castellani    
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