Seconda Parte.
INTERMEZZO ESCURSIONISTICO
Aosta - SCUOLA MILITARE d ' ALPINISMO Agosto - Settembre 1953
Nell'agosto del 1953, ci venne comunicato che anche un ufficiale del Genio Alpino avrebbe dovuto partecipare ad un “corso di addestramento
di roccia e ghiaccio” nel Gruppo del Monte Bianco, organizzato ogni anno dalla Scuola Militare d' Alpinismo di Aosta , per gli Ufficiali e Sottufficiali delle truppe alpine. La sede era a Courmayeur. La partecipazione di un ufficiale anche del Genio Alpino era voluta dal Ten. Col. CASSOLI, che aveva , allora , funzioni di comando presso il Corpo d'Armata a Bolzano.
Il Ten. Col. Cassoli, era reduce della campagna di Russia, ove comandava ,col grado di Maggiore, il 30° Battaglione Guastatori del Genio . Egli aveva sempre avuto un “occhio di riguardo” ed una particolare simpatia per la nostra “nascente” Compagnia del Genio Pionieri Alpino che era in seno alla Brigata “Tridentina”.
Il nostro Capitano,convocò quindi tutti gli ufficiali subalterni della Compagnia, spiegandoci che uno di noi doveva frequentare questo particolare “corso di roccia e ghiaccio”, della durata di 40 giorni , da svolgersi sul Gruppo del Monte Bianco.
La cosa non entusiasmò nessuno, anche perchè alcuni di noi sarebbero dovuti andare in congedo entro la fine di questo periodo, ed altri avevano desiderio di rimanere in zona o non erano portati per questo tipo di sport.
Fui quindi preso in causa io, dal Capitano, sia perchè mi ero raffermato ancora per un anno, e sia perchè praticavo lo sci ed avevo partecipato alle gare annuali delle Truppe alpine come unico rappresentante dell'Arma del Genio.
Non capivo - comunque - cosa c'entrasse lo sci con le scalate in roccia e ghiaccio che dovevo praticare.
E fu così che fui inviato “di punto in bianco”, prima ad Aosta presso la Scuola, e poi a Courmayeur, base di partenza per trascorrere 4 settimane in montagna tra un rifugio e l'altro del Gruppo del M. Bianco, con rientro il sabato sera e la domenica a Courmayeur ,per provviste di cibarie ed attrezzature varie, per poi ripartire il lunedì mattina verso rifugi diversi.
Al mio arrivo ad Aosta conobbi tutti gli altri ufficiali che avrebbero partecipato a questo Corso. Erano tutti degli alpini , sia di Fanteria che di Artiglieria, usciti freschi freschi dall' Accademia , e quindi di “carriera”.
Unico ufficiale di complemento, mi sentivo inizialmente un po' a disagio,(notasi, ad esempio, la differenza delle divise – foto 9° Serie), ma in seguito vi fu – in montagna – molto affiatamento e stima anche perchè potevo avvalermi di due anni di esperienza passati con la mia Compagnia, mentre loro erano completamente “ a digiuno”.
Ad Aosta rimanemmo alcuni giorni, per conoscere i nostri istruttori e ricevere i primi insegnamenti di arrampicata ed informazioni dettagliate di quello che dovevamo aspettarci sui ghiacciai del Monte Bianco, come legarsi e come procedere in cordata tra i vari seracchi e crepacci della zona.
Venimmo divisi in due gruppi, ognuno dei quali con un capitano istruttore, coadiuvato da una guida alpina del posto. Il capitano Picco era il nostro comandante e la guidaalpina era Viotto, molto conosciuto e famoso per aver preso parte a varie spedizioni italiane nel Gruppo dell'Everest.
Partiti per Courmayeur, venimmo sistemati in una caserma del posto, ove fummo attrezzati ed equipaggiati in modo idoneo per le escursioni che ci aspettavano, ed un lunedì mattino si partì per Entreves, e da lì si incominciò a salire!
Le marce di trasferimento fatte con la mia Compagnia, mi sembravano – in alcuni casi – alquanto faticose, ma ora, con uno zaino in spalla pieno di provviste ed attrezzatura varia, e per di più su un terreno completamente diverso da quello della mia zona dolomitica, incominciai a preoccuparmi per le fatiche che dovevo affrontare, ma soprattutto per i giorni che avevo davanti a me da trascorrere in questo ambiente , sicuramente maestoso , ma del tutto diverso dal mio.
Mi consolava pensare che i colleghi che mi precedevano , come quelli che mi seguivano, stavano sfaticando pure loro come me, e forse facevano gli stessi ragionamenti.
Trascorsero alcune ore prima di raggiungere il rifugio, dopo aver percorso una zona anche molto innevata. A mio avviso era più una “ capanna bivacco” che un rifugio, ed era completamente disabitato, ma all'interno attrezzato in modo abbastanza confortevole . Qui passammo la nostra prima notte sul Gruppo del M.Bianco.
I giorni che seguirono furono un susseguirsi di escursioni in località anche famose per gli escursionisti del “Bianco”, ma tutte basate su esercizi pratici dentro e fuori da crepacci dei vari ghiacciai che dovemmo attraversare.
Si alternavano giornate molto soleggiate con panorami da mozzafiato, ad altre di brutto tempo, ventose , fredde , e con molta nebbia.
Non mancava mai ,comunque, la disciplina militare che il nostro capitano istruttore pretendeva da tutti noi nel corso di queste esercitazioni.
Qualche volta alla notte ,nella mia cuccetta, rimanevo a lungo in ascolto dei rumori della montagna, dei fischi del vento, di qualche pietra che rotolava.
Pensavo anche alla mia Compagnia , al mio plotone che avevo lasciato nelle mani di un collega, a quello che stavano facendo ed in quale località potevano trovarsi ora.
Trascorsero così i giorni ed anche le settimane , ed ogni venerdì sera si scendeva nuovamente a Courmayeur per goderci quei sacrosanti momenti di riposo e di rilassamento.
E fu appunto in una di queste occasioni che venimmo a conoscenza della tremenda disgrazia che ci aveva colpito, ossia la morte di un nostro collega. Il St.Ten. Giuliano Tancredi del Battaglione “Edolo” - V° reggimento Alpini.
Durante una scalata del suo gruppo alla cima delle “Grandes Jorasses” (mt.4.200), mettendo un piede in fallo , era precipitato per 150 mt in un canalone, perdendo la vita. La disgrazia era capitata il 23 settembre.
La notizia ci lasciò tutti senza fiato, e costernati al massimo, anche perchè ci eravamo conosciuti e frequentati ad Aosta, ed incontrati anche a Courmayeur, ove ci scambiavamo le nostre esperienze di montagna.
Con grande amarezza riuscimmo a completare il Corso, dopodichè tornai volentieri al mio Reparto a Varna, perchè mi sembrava di essere mancato da mesi e desideravo moltissimo rivedere la mia gente.
MANOVRA INVERNALE , A FUOCO,
A PASSO MONTE CROCE DI COMELICO
Inverno 1954
Erano i primi mesi dell'anno, credo nel febbraio del 1954, quando venne organizzata dalla Brigata Alpina “Tridentina” una manovra a fuoco al Passo di Monte Croce di Comelico.
Credo che si trattasse di una manovra dimostrativa, con gran movimento di alpini sulla neve , che venivano ripresi da videocamere e da giornalisti che commentavano lo svolgimento dell'azione, ed il tutto alla presenza di varie autorità militari e civili.
Correva voce che si voleva dimostrare la capacità e l'efficienza degli alpini su terreno innevato, forse per poterli utilizzare nelle prossime Olimpiadi invernali che si sarebbero svolte a Cortina nel 1956. Essi avrebbero avuto il compito – in quell'occasione - anche della battitura , sorveglianza e della sicurezza delle piste da sci.
La dimostrazione dell'azione nella neve fresca degli alpini, ed anche di un paio di plotoni della nostra Compagnia, doveva comprendere anche vari tiri di artiglieria che esplodevano tra gli uomini nel corso dell'avanzata verso un ipotetico obbiettivo protetto anche da reticolati. - Insomma, “una tipica ripresa di guerra per un gran film d'azione“.
Il compito della nostra Compagnia era principalmente quello di preparare sul terreno, sin dal giorno prima , alcuni sbarramenti di reticolati ed inoltre alcune buche nella neve entro le quali dovevano stare nascosti alcuni nostri genieri con “saponette“ di tritolo innescate con detonatori e miccie da lanciare e far esplodere all'esterno onde simulare i tiri di artiglieria.
A parte la faticaccia di correre nella neve fresca con le nostre armi imbracciate, facendo attenzione a percorrere tracciati preventivamente segnati, e la preoccupazione delle esplosioni di grande effetto che avvenivano davanti ed intorno a noi, la manovra ebbe un ottimo risultato ed il plauso delle varie autorità........che però – solo alcune di esse – vennero a conoscenza di un increscioso incidente.
Un nostro geniere che era appostato in una delle varie buche, preso forse dall'euforia di tutta l'azione, dopo aver acceso la miccia di una delle cartucce di tritolo, si dimenticò di lanciarla , e l'esplosione che sussegui, lo catapultò addirittura all'esterno della buca. Grazie al cielo, non si procurò gravi ferite, ma trasportato d'urgenza all'ospedale di Brunico, vi rimase circa una decina di giorni. A noi non rimase altro che andare a turno a trovarlo, sino al giorno in cui potemmo riportarcelo in Compagnia a Varna, però....con suo grande disappunto, perchè era finita la “pacchia” del letto di ospedale e dell'amorosa cura delle infermiere. Alla fine, si rifece con un permesso di alcuni giorni di convalescenza, a casa.
In quegli anni la Brigata teneva i suoi reparti spesso impegnati in esercitazioni combinate tra Fanteria, Artiglieria, Genio, sia Pionieri che Trasmettitori e, dove il terreno lo consentiva, anche con la partecipazione dei Paracadutisti.
Frequenti erano anche le esercitazioni a fuoco in zone particolari di montagna, perchè allora non vi era ancora una netta opposizione da parte delle Autorità Provinciali.
Avevamo la convinzione, che solo da pochi anni dalla fine di una guerra persa, il nostro Esercito era in grato di riformarsi forse meglio di prima, dimostrando la sua piena efficienza operativa nonostante la scarsità dei mezzi di cui allora disponeva.
Forse era per questo motivo che i vari comandanti dei reparti a livello di Battaglione o di Brigata ed oltre , quasi tutti reduci del passato conflitto, e quindi con esperienze di guerra, pretendevano dalle nuove leve militari un particolare impegno addestrativo, ed una vita anche dura, paragonabile forse a quella subita dai loro padri durante il periodo bellico.
Ecco quindi le frequenti manovre a fuoco, le lunghe marce , sia diurne che notturne, come ad esempio l'attraversamento di alcuni centri abitati che doveva avvenire solo di notte per non disturbare la popolazione, come a Brunico, a Cortina od anche nella stessa Bolzano.
Non si udiva di notte il passaggio di automezzi sulle strade, ma solo il ticchettio prolungato degli zoccoli dei muli quando passavano i Gruppi di Artiglieria.
In quattro anni di servizio, non ricordo di aver mai partecipato a delle sfilate militari o manifestazioni del genere, ma ricordo di aver dormito poco nel mio letto, e di aver calpestato a lungo con la mia Compagnia o col mio Plotone al seguito della Brigata, una gran parte del territorio della nostra provincia.
Ma alla fine non ci si lamentava più di quella vita vissuta in gran parte in continuo movimento, perchè avevamo modo di vedere quanto era più dura quella di altri Reparti della Brigata, come ad esempio quella di alcuni Gruppi dell'Artiglieria Alpina.
L' ARTIGLIERIA ALPINA
A questo proposito vorrei ricordare un fatto che mi rimase a lungo impresso nella mente. Il Capitano ricevette l'ordine dalla Brigata, di inviare in Pusteria, una squadra di lavoro della nostra Compagnia, per prolungare e sistemare meglio la strada che già un anno prima avevamo aperto per salire sulle alture di Prato Piazza in occasione della manovra estiva della Brigata. (vedi 2° Puntata- foto 3° Serie). Tutta la zona era stata destinata, nel frattempo , a campo di addestramento per quello che poi diventò il Battaglione “Bassano”di sede a San Candido e dei Gruppi di Artiglieria con sede a Brunico (“Vicenza”) ed a Dobbiaco.(“Asiago”).
Il Comandante scelse il mio Plotone , o meglio una parte di esso, per adempiere a questo incarico, compito che doveva svolgersi nel giro di pochi giorni. Fummo quindi trasportati sino a Carbonin e poi salimmo a Prato Piazza ove ci accampammo in tenda ai margini della strada in costruzione.
Era primavera già avanzata, e sebbene nella notte facesse ancora un po' di freddo, durante il giorno la temperatura era ottima, e così iniziammo subito e di gran lena il nostro lavoro di sistemazione stradale, sempre estasiati dal paesaggio stupendo che ci circondava. Gli attrezzi di lavoro erano normalmente i soliti in queste occasioni, ossia, picconi, badili, mazze, ecc.. e nel giro di un paio di giorni riuscimmo a svolgere quasi completamente il grosso del lavoro.
Quello che doveva essere l'ultimo giorno , si presentò però – sin dal mattino presto- molto nuvoloso, con minacce di pioggia o di temporale, ma nonostante
ciò, - dato che non pioveva ancora, riprendemmo subito i lavori per poterli ultimare in giornata e rientrare quindi a Varna.
Dopo un paio d'ore inizio però a piovere mentre si udiva anche qualche brontolio di tuoni che non promettevano nulla di buono, specie ad alta quota ed in mezzo a quella catena di montagne.
Nel frattempo, un paio di uomini mi fecero notare che nel fondo valle vi era in movimento una colonna di militari in marcia che stava salendo, ma che per il tempo già in parte nebbioso, e per la pioggia cadente, non si riusciva a vedere bene ed a capire di che si trattasse. Comunque, diedi ordine agli uomini, di ripararsi subito in tenda prima di bagnare oltre i loro indumenti, e di lasciare tutti gli attrezzi sul luogo di lavoro perchè , in caso di forte temporale, non volevo che si tenessero vicini a se oggetti di ferro che potevano attirare fulmini. Rifugiatomi nella mia tendina, nella quale potevo al massimo rimanere seduto, presi nello zaino il mio binocolo perchè volevo vedere dove si poteva essere rifugiata quella colonna di uomini, che avevamo avvistato in fondo alla vallata.
Scrutando attentamente la valle riuscii a vedere che la colonna non aveva ripiegato alla ricerca di un riparo, ma era sempre in marcia nonostante il temporale che nel frattempo era aumentato di intensità e con una pioggia sempre più scrosciante. Oltre agli uomini potei distinguere ora anche i muli, una fila interminabile di muli someggiati, preceduti dai loro conducenti. Caspita, mi dissi, è un Gruppo di Artiglieria da Montagna che sta salendo !!! Pensai al Gruppo Asiago che era accasermato a Dobbiaco, ma poteva essere anche il “Bergamo”, ora trasformatisi nel “Vicenza” con sede a Brunico.
Ma quel comandante , che mi pareva vedere in testa alla colonna assieme ad altri ufficiali, dove mai voleva portare i suoi artiglieri con un tempo così tremendo ? -
Trascorse quasi un'ora prima che comparissero i primi uomini dalla curva lungo il nostro tracciato stradale, ed in testa vi era sicuramente il Comandante, un ufficiale alquanto piccolo per essere un artigliere.
Ed altrettanto tempo passò, prima che si esaurisse tutta la colonna, circa 150 muli carichi dei pezzi di artiglieria coperti da teli, con alla testa il proprio conducente ed altri artiglieri sparsi, in appoggio.
Noi tutti eravamo sotto le nostre tende e guardavamo esterefatti quei ragazzi, completamente inzuppati d'acqua, infreddoliti, che procedevono lentamente con sguardo atono , alcuni molto barbuti – presumo che fossero gli anziani - tenendo alla briglia il proprio animale, e nessuno di essi, nonostante la vicinanza delle nostre tende, volse mai la testa nella nostra direzione.
Tutto il Gruppo alla fine passò davanti a noi procedendo verso l'alto tra tuoni, saette, e scrosci d'acqua.
Rimasi molto impressionato per quanto avevo visto, e pensai se sarebbe stato mio dovere farmi vivo col comandante , presentarmi, e chiedere se necessitava di qualcosa da parte nostra, ma nel frattempo la “buriana” si stava calmando e la pioggia aveva smesso di cadere.
Assieme al Sergente e ad alcuni uomini uscimmo da sotto le tende e ci portammo sulla strada, e quello che era un mio presentimento si avverrò.
Tutti gli attrezzi da lavoro, pale, picchi, badili, ed altro erano spariti!
Guardai a monte e vidi che la coda del Gruppo era ancora in movimento; non ci pensai oltre e mi affrettai per raggiungerlo, perchè non potevo permettermi
di rimanere senza tutti i nostri attrezzi da lavoro. Raggiunto il Gruppo cercai di parlare con vari conducenti, ma nessuno mi rispose, ne alzò la testa per guardarmi, - alzai i teli sulla groppa dei muli, ma vidi solo parti di cannone, ed alla fini mi affrettai verso la testa della colonna per parlare col comandante.
Quando raggiunsi – quasi di corsa – la testa del Gruppo, la prima Batteria stava già montando in posizione i suoi pezzi. Tra gli uomini presenti individuai il comandante dai gradi di maggiore , ed anche ...dalla statura.
Mi avvicinai e dopo averlo salutato militarmente mi presentai. Impiegò un po' di tempo prima di alzar la testa e di guardarmi , dopo di chè gli spiegai che ero della Compagnia Genio Pionieri e che ero sul posto per i lavori di sistemazione della strada, - Proseguii dicendo che tutti gli attrezzi da lavoro che erano sulla strada erano spariti col passaggio del Gruppo.
Finalmente egli aprì bocca e mi disse : “ ..caro tenente, se i suoi attrezzi sono spariti, ..io non so che farci ! - Lei dovrebbe sapere benissimo che non si abbandonano ne armi ne altro materiale , se non in luogo appositamente custodito. ! “ ...e come lei può vedere, ora i miei uomini hanno ancora molto da fare.! “ - E dopo detto questo, mi liquidò senza altre parole.
Ritornai tra i miei genieri -che si erano già passati la voce di quanto era successo- e capirono subito quanto fossi “fuori dai gangheri” e preoccupato per il rapporto che avrei dovuto fare al mio comandante.
Era già quasi notte quando il Gruppo ripassò per scendere a valle e rientrare – chissà a che ora - nella propria caserma.
La mattina dopo, prima di ripartire, volli andare col sergente ed un paio di uomini, nuovamente in vetta dove si era fermato il Gruppo per scaricare i cannoni dai muli, montare i pezzi , eseguire i vari puntamenti, rismontarli e ricaricarli sui muli. Speravo di trovare traccia dei miei attrezzi.
...e la trovammo !
Erano stati tutti privati dei manici in legno, coi quali erano riusciti ad accendere dei fuochi per riscaldarsi ed asciugarsi un po'. ! - Delle parti metalliche non vi era traccia.
Dopo quanto avevamo visto del loro comportamento in marcia , sotto la pioggia torrenziale, al freddo, e dopo tutta la strada percorsa, non ebbi il coraggio di biasimarli oltre , ma ammirarli per quanto questi uomini, gli Artiglieri Alpini, erano in grado di fare. !
L ' ESIGENZA TRIESTE settembre - ottobre 1954 - La Compagnia Genio Pionieri parte per il Friuli.
Era una mattinata, credo, di fine settembre, quando il Capitano Da Giau convocò tutti gli ufficiali nel suo ufficio.
Senza darci particolari spiegazioni , ci disse che tutta la Compagnia doveva essere pronta a spostarsi al completo, - uomini , armamento e automezzi - entro 24 ore , con caricamento su un convoglio ferroviario, attrezzato anche con carri per trasporto degli automezzi, pronto nella stazione di Bressanone ove convergevano anche altri Reparti della Brigata.
Proseguì il rapporto dando ad ognuno di noi i compiti che dovevamo assolvere , dagli equipaggiamenti che dovevano avere gli uomini compreso l'armamento, dal materiale da cucina trasportabile, dalla scorta di viveri che doveva essere approntata, dal tipo e quantità di munizionamento ed esplosivi che doveva essere prelevato presso il deposito munizioni di Fortezza , ed infine quanti uomini e che sottufficiale, dovevano rimanere in caserma per presidiarla durante l'assenza della Compagnia.
Faccio presente che in quegli anni non avevamo televisione e tanto meno giornali a portata di mano, ma le notizie arrivavano normalmente tramite “ radio Naia“.
Fu così che consultandoci tra noi subalterni, pensammo subito ad una particolare esercitazione in grande stile, come le precedenti degli ultimi tempi che spesso la Brigata organizzava.
Ma non passò molto, che venimmo a sapere che si trattava di tutt'altro.
La Yugoslavia stava ammassando truppe sul confine , intenzionata ad occupare anche la Zona A , che comprendeva la città di Trieste , e che era già in discussione internazionale dalla fine della guerra tra le truppe di occupazione inglesi ed i due contendenti, ossia l' Italia e la Yugoslavia di Tito.
Il Presidente del Consiglio era allora l'Onorevole Giuseppe Pella, piemontese, nominato “ ad interim” da appena un mese, uomo molto deciso che non si perdeva sicuramente in chiacchere.
Dopo aver consultato il ministro della Difesa, senza tanti preamboli, ordinò - tambur battente - lo spostamento in assetto di guerra di 350.000 uomini nel Friuli sul confine con la Yugoslavia.
Oltre ad una divisione corazzata, erano in movimento tutte le Brigate Alpine, la nostra , la Taurinense, la Cadore, e la Iulia. ( l'Orobica non era ancora formata).
Dato il pochissimo tempo a disposizione dovemmo subito darci da fare.
A me fu assegnato l'incarico di recarmi immediatamente a Fortezza con due automezzi pesanti (Tri-ro), una squadra di uomini ed un sottufficiale , per ritirare presso il Deposito munizioni, tutta la nostra dotazione di mine anticarro, (credo 500 mine) oltre alle mine antiuomo ed altro tipo di munizionamento.
Le prime difficoltà le trovai subito all'ingresso del Deposito, dove il maresciallo consegnatario, forse non ancora avvisato dal Corpo d'Armata, si rifiutò nel modo più categorico di far entrare gli automezzi, e tanto meno di consegnarmi mine e munizioni. Io avevo ordini precisi di prelevare tutto quanto mi era stato ordinato, e lui non aveva ricevuto nessun ordine per consegnarmelo. Ne nacque una discussione molto animata e , non avendo possibilità immediata di contattare il mio capitano (allora non esistevano i “telefonini”) ed il permesso di entrare nell'ufficio del Consegnatario per usare il suo telefono, dovetti minacciarlo di impiegare la forza con gli uomini che erano con me.
Il maresciallo era una persona anziana e piuttosto pingue, che tra l'altro mi conosceva per averlo incontrato in altre occasioni, e mi dispiaceva doverlo minacciare, ma lui era irremovibile. Ma alla fine fu lui stesso a trovare la soluzione urlandomi che se volevo prelevare le mine ed altro, dovevo ..”legarlo”.
Non fu legato, ma chiuso nel suo ufficio, dove ebbi anche modo di fare un paio di telefonate per contattare la Compagnia e la Brigata.
Giunsi solo in serata in caserma col mio carico, e vi trovai un gran movimento di uomini e mezzi che già confluivano verso Bressanone per il carico sul nostro convoglio ferroviario.
Durante tutta la notte avvenne il caricamento della nostra tradotta che comprendeva anche i carri per gli automezzi, e per una pala meccanica cingolata che era stata assegnata da pochi giorni alla Compagnia.
Ed alla mattina si partì presto verso una qualche località del Friuli che non conoscevamo, ma che si presumeva fosse nella zona di Udine.
In tutto questo trambusto non ebbi nemmeno il tempo di avvisare telefonicamente i miei genitori che si trovavano in Valtellina, ma non mancò l'occasione , durante il viaggio , di parlare con i miei colleghi di quanto stava succedendo e del futuro che ci aspettava.
Venimmo così a sapere dal nostro capitano che stavano richiamando tutti i nostri genieri del III°29 che erano andati in congedo circa un anno prima e che sarebbero affluiti nel luogo della nostra destinazione.
Non mancammo di farci una risata pensando a come ci avevano lasciato al momento del congedamento con i canti, la baldoria, e con : “ ...la naia l'è finida..“ e così via. ( vedi 3° Puntata ).
Nelle prime ore del pomeriggio, dopo aver sorpassato altri convogli militari , fermi in binari morti di alcune stazioni, ove scaricavano uomini e mezzi , superammo la stazione di Udine e ci fermammo in una stazione più a nord, credo Tricesimo, ove ci comunicarono che dovevamo scendere.
Venimmo a sapere che il capitano aveva incaricato il St.Ten. De Paoli, di recarsi in avanscoperta, con una “campagnola”, nella zona circostante , alla ricerca di qualche paese idoneo ad ospitare tutta la Compagnia , perchè ogni Reparto che era in movimento in questa esigenza, doveva arrangiarsi a trovare una sistemazione nelle località geografiche a loro destinate.
Con un colpo di fortuna – De Paoli riuscì a trovare una località ancora libera dall'invasione delle truppe delle varie Brigate Alpine, e fu così che la Compagnia si mise in marcia verso il paesino di Cassacco, poco a nord della cittadina di Tricesimo.
INSEDIAMENTO IN FRIULI
OTTOBRE 1953
L'arrivo in Friuli e l'insediamento della Compagnia nel paesino di Cassacco, fù una cosa un po' insolita per tutti gli uomini, ufficiali e sottufficiali compresi,che dalla mattina alla sera si trovarono scaricati in un altro ambiente, altro paesaggio altre case, altra gente.
Innanzitutto occorreva trovare subito una soluzione per sistemare tutti gli uomini al coperto, cosa che avvenne dopo aver interpellato le autorità locali del Comune ed anche gli anziani del paese che, assieme a tutta la popolazione, dimostrarono la massima disponibilità e collaborazione per ospitare i nostri ragazzi, disponibilità e calore che sicuramente non avevano mai trovato nei luoghi da dove giungevamo.
Circa 300 uomini non era facile sistemarli in un piccolo paese, ed inoltre ve ne erano altri in arrivo, ossia i ...richiamati nuovamente in servizio del III/29.
Ci fu concesso subito di occupare un vecchio castello disabitato, ove furono sistemati la maggior parte di essi, mentre altri gruppi , ognuno con a capo un sottufficiale , vennero invece ospitati ben volentieri in piccole fattorie di contadini dei dintorni, ove vennero messi a loro disposizione magazzini di foraggio od altri fabbricati analoghi.
Gli ufficiali trovarono sistemazione in un piccolo albergo-ristorante che venne organizzato anche come sede del Comando di Compagnia , e qui venimmo raggiunti anche da due ufficiali del III/29 da poco congedati, ma appositamente richiamati per “ l'esigenza Trieste “, il St. Domenico Scoccia, ed il St. Francesco Vilucchi di Bolzano.
Purtroppo noi ufficiali , a contatto diretto col Comandante, ed impegnati di continuo sino a tarda sera , con turni anche di notte, per controllare gli uomini sparsi ovunque in gruppi isolati, non eravamo sicuramente alla stessa stregua della truppa, della quale una considerevole parte era ospite gradita della popolazione locale. Dovevamo inoltre controllare di continuo, specie nelle ore notturne, i posti di guardia a materiali ed automezzi, ed in particolare quelli contenenti le mine e le munizioni , che erano sistemati per lo più all'aperto.
Durante il giorno gli uomini venivano intrattenuti in varie attività addestrative, e messi anche a conoscenza di quanto sapevamo dell'esercito Yugoslavo, come ad esempio gli stemmi di identificazione dei loro aerei e mezzi militari. Vennero anche distribuiti fogli illustrativi con foto ed informazioni in merito. Purtoppo le cattive condizioni meteo dei primi giorni del nostro arrivo in Friuli, caratterizzati anche da frequenti piogge, avevano reso più difficile l'addestramento giornaliero degli uomini. Eravamo venuti anche a conoscenza di una disgrazia avvenuta ad un reparto di un Battaglione alpino di un'altra Brigata, ove una tenda , installata nei pressi di un torrente, era stata spazzata via durante la notte dall'improvvisa piena che si era formata nell'alveo dello stesso, ed un ufficiale che dormiva in essa aveva perso la vita.
Il capitano Da Giau, accompagnato dal St. Zanier, si recava spesso in “campagnola” presso il Comando della nostra Brigata situato in un'altra località della zona, per prendere ordini e per essere informato sulla situazione.
Fù così che un giorno , mi comunicò che dovevo recarmi in una località sul confine Yugoslavo, in zona montana, col compito di costruire un osservatorio interrato e perfetttamente mimetizzato per osservare da vicino eventuali movimenti di automezzi delle truppe di Tito . Potevo portare con me non più di una decina di uomini del mio plotone, a mia scelta, e mi era stato raccomandato di lavorare esclusivamente di notte e senza illuminazione perchè non dovevamo assolutamente farci notare dalla parte opposta del crinale di confine. Infatti – dall'altro lato - era insediata una piccola casermetta yugoslava. Mi fu affidato il Serg. Musto Lupo Mario, uomo di notevole stazza e di poche parole che non disdegnava il lavoro manuale, mentre io scelsi un gruppetto affiatato di uomini tra cui il famoso “ El Cid” - piemontese, che avevo già con me nei lavori stradali di Plancios ed inoltre quattro ragazzi altoatesini di lingua tedesca, molto affiatati tra di loro per via della lingua, ma soprattutto – per loro indole - molto disciplinati in campo militare.
La località , di cui non ricordo il nome, era a circa 40 km da Cassacco, e mi preparai quindi a raggiungerla col mio gruppo su automezzi che percorsero in parte una strada sterrata di montagna, lasciandoci poi proseguire a piedi per un tratto di zona boschiva ed arrivare infine su un crinale oltre il quale si dominava una stretta vallata percorsa da una strada camionabile.
Quello era territorio Yugoslavo, (attuale zona Slovena)) e lungo la strada vi erano alcune case isolate , tra le quali si poteva ben individuare la casermetta di confine, per via di un pennone nel cortile con la bandiera blu bianca e rossa e la stella rossa al centro, che anche gli uomini già conoscevano molto bene.
Dopo aver scelto un punto strategico ideale per un osservatorio, ma non facilmente individuabile dal basso , ci organizzammo per prepararci una sistemazione di fortuna , ove poter riposare durante il giorno e consumare i nostri pasti freddi, che una “campagnola” ci portava ogni giorno, ad ora prestabilita, sulla strada sottostante. Tramite l'autista , venni a sapere che pure ad un mio collega era stato assegnato lo stesso compito in un'altra zona di confine più a nord della nostra.
Iniziammo i lavori di scavo nella stessa serata, all'imbrunire, scavi che avevamo già picchettato nel pomeriggio, e procedemmo sino a notte fonda, costretti però a smettere perchè troppo rumorosi per via di grossi trovanti di sassi che dovevano essere rimossi .
Si riprendeva all'alba quando la luce facilitava il lavoro, ma costretti poi a smettere per evitare che qualche contadino della parte opposta potesse individuare questi movimenti insoliti. Comunque , sdraiato tra i cespugli, passavo molto tempo ad osservare col binocolo le case e la strada sottostante , ma soprattutto i movimenti entro il cortile della casermetta, (che distava in linea d'aria non più di 300 mt. dalla nostra posizione), e mi veniva spesso da sorridere, vedendo i militari yugoslavi uscire frequentemente in cortile per disputare delle gran partite di bocce, oppure stare “stravaccati” al sole .
Alla fine della seconda giornata , lavorando sempre all'imbrunire e sino a che un po' di luce lo consentiva, gran parte dello scavo era ultimato, ma le pareti dello stesso franavano spesso.Decisi così di affidare un particolare compito ai ragazzi di lingua tedesca.
Spiegai loro che mi servivano delle paratoie in legno intrecciato, alte circa un metro e ottanta, e di lunghezza varia per uno sviluppo di almeno una decina di metri.
Dovevano scendere nel bosco del nostro versante, ove avevamo notato molti cespugli di nocciolo ed anche di giovani betulle., ma non dovevano fare eccessivo rumore.
Capirono al volo quello che serviva, presero gli attrezzi idonei, per lo più accette e due grosse roncole, e all'imbrunire, con un panino in tasca, sparirono nel bosco sottostante.
Non li vidi più per tutta la notte, e quando incominciavo a preoccuparmi per questa prolungata assenza, erano le prime ore dell'alba, quando mi comparvero con sulle spalle tutti i tralicci ordinati ed eseguiti , – oltre tutto - in modo perfetto.
Terminati i lavori di costruzione dell’osservatorio sul confine, tornammo a Cassacco, ove riprese la vita di prima , ma sempre in attesa di notizie buone o cattive di quello che poteva succedere.
Nei giorni che seguirono, il capitano , mi parlò a lungo cercando di convincermi a rimanere nell’esercito come ufficiale di carriera, ma dopo vari ripensamenti declinai l’invito perché, essendo oramai scaduto l’anno di rafferma, correvo il rischio di perdere il mio lavoro di ruolo presso la Direzione Lavori Genio Militare di Genova, ove ero già in servizio dal 1950.
Fù così che mi congedai dal Friuli per tornare a Genova, lasciando la Compagnia con molta tristezza e nostalgia.
" CHIUSURA "
Vorrei dedicare queste puntate, che trattano la storia degli albori della nostra Compagnia,
di quella che era ancora accasermata nella "VERDONE" di Varna, a tutti quegli Ufficiali,
Sottufficiali,, e Genieri Alpini, che non ci sono piu', .....che sono andati avanti.........
ad iniziare dal loro Comandante, il Capitano Aldo Da Giau, al suo vice, il Ten. Oddone Zanier,
al S.Ten Bruno Avi, e tra coloro che sono venuto a conoscenza, il Serg:Magg. Musto Lupo Mario,
il Sergente Alberto Cavalleri (deceduto in Australia), ed altri ancora Genieri Alpini, dei quali
ho avuto notizia, ma che non ricordo piu' i nomi.
Vorrei anche rendere omaggio a tutti i Genieri, ai loro Ufficiali, Sottufficiali, , ed ai loro Comandanti,
che negli anni a seguire, si sono succeduti in seno alla Brigata Alpina Tridentina, nella Caserma
" VODICE " di Bressanone, portando avanti con onore lo spirito lo della Compagnia Genio Pionieri,
nata - dopo la guerra - nel lontano 1951.
S:Ten. Galeazzo Remotti
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